Era impacciato Marino Corti domenica pomeriggio al termine della vittoriosa sfida col Cercivento che ha riportato il titolo a Cavazzo dopo 47 anni. Lui è uno di quelli che raramente si lascia andare, quasi avesse pudore a far trasparire i propri stati d’animo. In tanti anni di Carnico (prima da giocatore e poi da allenatore) non si è mai lasciato trascinare in polemiche, ha sempre accettato il verdetto del campo, usando il buon senso e la misura delle persone intelligenti.
Da anni sta “combattendo” sui campi del Carnico una duplice battaglia: quella contro l’avversario di turno e quella contro una cultura calcistica che, a suo modo di vedere, andrebbe rivista anche in Carnia. Perché per Marino Corti l’uomo viene sempre prima del calciatore e lui per i suoi ragazzi è molto spesso un fratello maggiore, a volte addirittura un padre. Non abbiamo mai sentito un giocatore che lo ha avuto come allenatore parlare di lui in maniera negativa, perché il suo modo di porsi è sempre leale, diretto ed anche quando le situazioni lo costringono a scegliere un uomo piuttosto che un altro sa sempre trovare le parole giuste per mitigare la delusione dell’escluso. Nella vittoria del Cavazzo c’è molto di suo: c’è quella pacatezza che distingue le persone forti dentro, c’è la serenità nel saper accettare un risultato negativo per potersi riscattare nella partita successiva (ricordate la perfetta gestione dopo le due sconfitte col Cedarchis?), c’è l’umiltà nel saper riconoscere dove si può migliorare. Mentre i suoi giocatori festeggiavano, domenica scorsa, lui, ancora lì sul campo, pensava a quanta strada dovessero ancora percorrere i suoi ragazzi per acquisire quella mentalità vincente che è necessaria per aprire un ciclo di vittorie.
(dal Gazzettino)