«Mi vergogno di essere un tesserato Figc».
Delusione, amarezza, impotenza, rabbia: questi i sentimenti di Gilberto Tessitori dopo che la Commissione Disciplinare ha confermato gli 8 mesi di squalifica per insulti razzisti all’arbitro di Cercivento-Amaro, Boussim di Maniago. Inutili tutti i tentativi della società della Val But per dimostrare che c’è stato un chiaro ed evidente scambio di persona.
«Mi sono presentato all’udienza della Commissione a Tolmezzo e non mi hanno nemmeno voluto ascoltare – afferma Tessitori, classe ’62, un passato da calciatore nella Triestina in serie C -. Il presidente Stefano Morassi, che è anche l’allenatore ha avuto udienza per 10′, nel corso dei quali ha spiegato che era stato lui ad essere stato espulso e ad aver insultato l’arbitro, seppur senza riferimenti razziali».
-In quel 14 luglio che ruolo hai avuto?
«Sono entrato in campo al posto di mio figlio Devis e ho concluso la partita. Alla fine sono stato io a calmare Morassi, molto agitato».
-Perché nella lista risulti tu l’allenatore?
«È una scelta di Stefano. Spesso viene inserito il nome di un calciatore anziché il suo».
-Quale è stata la prima reazione appena hai saputo della squalifica?
«Ha chiamato mio figlio e mi sono letteralmente accasciato sul divano. È stato un colpo durissimo, soprattutto per le motivazioni. Sia chiaro, è giusto che il razzismo sia considerato un reato. Per questo l’accusa nei miei confronti è infamante».
-C’è stata la possibilità di spiegare all’arbitro che si era sbagliato?
«Macché. Mi aspettavo fosse presente alla riunione della Commissione, perché mi avrebbe visto in faccia, capendo di aver sbagliato. Invece niente. Evidentemente non ha la coscienza a posto. Posso aggiungere una cosa?».
-Prego.
«In Commissione c’erano i massimi dirigenti arbitrali a difendere il loro tesserato. Noi, invece, dalla Figc non abbiamo avuto nè appoggio nè sostegno. Ci è stato semplicemente detto che non possono fare nulla».
-Ora che succederà?
«Essendo stato pesantemente diffamato e non avendo trovato giustizia in sede sportiva, mi rivolgerò alla magistratura ordinaria. Sul piano calcistico mi viene solo da dire che con il Carnico ho chiuso. Il calcio è malato, non è quello di un tempo. E io non mi ci ritrovo più».
-C’è una nota positiva in tutto questo?
«Sì: l’affetto, la stima e la solidarietà di dirigenti, giocatori e allenatori delle società del Carnico. Vuol dire che in 40 anni di calcio qualcosa di buono ho fatto».
Bruno TAVOSANIS (dal Gazzettino)