Stefano Micelli, classe 1965, 200 reti giuste giuste nel Carnico, l’ultima delle quali segnata nell’ultima partita giocata, un 4 a 0 contro il Mercato, con i compagni di squadra che ce la misero tutta per fargli toccare la prestigiosa quota. Un Carnico vissuto da protagonista ed ancora presente nei ricordi di un passato calcistico popolato da compagni di squadra, amici, allenatori, avversari e tante piccole storie da raccontare.
LA FAMIGLIA. Sposato con Giulia, con la quale ha messo a segno la … doppietta più bella della sua vita: Sharon, 18 anni, e Samuel, 17. Ed è stato proprio Samuel che lo ha “riavvicinato” al calcio. Il santolo di Samuel (che è Vincenzo Radina) gli regalò per un compleanno un paio di scarpini da calcio che di fatto avviarono il ragazzo alla stessa passione del papà. E Stefano, che una volta appese le sue, di scarpe, di calcio non volle più sentir parlare, ricominciò a sentire odore di campi verdi ed il rumore proveniente da chioschi e tribune. E pensare che appena smesso, la domenica, si metteva a spaccare le legna con le cuffie anti rumore non sentire le urla provenienti dal campo sportivo vicino alla sua casa, su a Verzegnis.
LA CARRIERA. A proposito di Verzegnis e del Verzegnis, è proprio la casacca verde quella che gli è rimasta più nel cuore di tutta una carriera vissuta tra le giovanili del Cavazzo, Verzegnis, Virtus Tolmezzo, ancora Verzegnis, Arta e ancora Verzegnis. E lui se la ricorda tutta, questa carriera: da quando, bambino, andava a letto con le scarpe da calcio appena comprate da papà Bruno, una persona che Stefano ricorda spesso e vedremo perché. Oppure gli anni delle vittorie: quella in campionato, nel 1983, quando era appena maggiorenne. In una squadra che poteva schierare Forgione, i fratelli Sulli, Corti, Screm, Enrico Cacitti e i gemelli Fior, lui seppe ritagliarsi spazi importanti, entrando spesso a partita in corso ma risultando spesso decisivo, con la sua dozzina di gol che per un giovanotto della sua età era veramente un bel bottino. Di quei compagni di squadra più anziani di lui seppe meritarsi la stima ed il rispetto, per la passione, l’attaccamento alla maglia, l’impegno e la serietà che ci metteva.
Tra le vittorie ama ricordare anche il “Torneo dei Campioni”, una manifestazione voluta dal Comitato di Tolmezzo, alla quale potevano partecipare solo le squadre che avevano vinto per almeno 2 volte il campionato. Stefano se l’aggiudicò, nel 1997, con la maglia dell’Arta, un anno prima di alzare al cielo la Coppa Carnia sempre con la casacca rossoblu.
PAPA’ BRUNO. Ecco a quella Coppa Carnia è legata una storia particolare. Papà Bruno (che aveva sempre seguito Stefano in tutta la sua carriera) era venuto a mancare 5 giorni prima della partita. Per Stefano, che al papà era molto legato, furono giorni molti duri. Ma il tecnico dell’Arta Marino Corti (altre persona importante nella vita di Micelli) lo volle comunque in panchina la sera della finale. Non era un gesto consolatorio quello di Corti, ma un segnale da lanciare a Stefano: voleva coinvolgerlo, renderlo partecipe di un evento importante per il calcio carnico. Stefano arrivò al campo, si infilò la maglia e partecipò al riscaldamento. “Mi sentivo chiuso in una bolla, l’ambiente esterno mi sembrava quasi non esistere” raccontò nei giorni successivi, descrivendo benissimo la situazione surreale che un ragazzo sensibile come lui stava vivendo. Papà Bruno, si diceva, non si perdeva una sua partita ed anzi, era molto generoso, perché ad ogni gol gli regalava 10 mila lire. Siccome però il figlio segnava spesso, Bruno cambiò modo di … pagamento. “Ogni volta che metti insieme 5 gol – gli disse – ti do 50 mila lire”. Il valore era lo stesso, ma al genitore sembrò una formula di rateazione più comoda. Solo che le cose andarono diversamente, perché dopo questo accordo, nelle due partite successive siglò prima una tripletta e poi una doppietta! Quelle 50 mila lire, così, furono le ultime … Ma torniamo alla finale di Coppa: a metà ripresa, J.J. Maion (che giocava attaccante centrale) accusò un problema fisico e a quel punto Corti gettò nella mischia Stefano. Tante corse, tanto impegno ma poco costrutto. Fino al 115’, vale a dire a 5’ dalla fine dei tempi supplementari, quando proprio lui con una punizione dai trenta metri infila il portiere della Velox. Un gol carico di significati per Stefano, che da persona schiva e misurata non mandò baci al cielo, non si lasciò andare ad esultanze particolari, ma corse con gli occhi lucidi ed un groppo in gola verso la panchina ad abbracciare Corti.
GLI ALLENATORI. Stefano dice che da tutti gli allenatori che ha avuto ha imparato qualcosa e che tutti gli hanno dato qualcosa. Ma Mongiat e Corti li considera speciali: preparati, scrupolosi, attenti anche ai dettagli, ma soprattutto conoscitori delle vicende umane. L’uomo prima del calciatore, insomma, dettaglio importante quando il calcio si fa per passione e non per professione. “Due persone che mi hanno arricchito – dice – perche allenavano il cuore e la testa prima dei muscoli”.
GIANPIETRO SERINI. Pur non avendo vinto nulla insieme e, tutto sommato, avendo disputato insieme poche stagioni, la coppia Micelli – Serini è una specie di cult nel calcio carnico. Hanno giocato uno accanto all’altro qualche anno dopo Graziani – Pulici, formidabile coppia di attaccanti del Torino per i quali venne coniata l’espressione gemelli del gol. Ecco, diciamo che in Carnia i gemelli del gol per antonomasia erano loro, Stefano e “Gianpi”, e l’ appellativo di certo non era abusato. I due avevano caratteristiche che ben si completavano: Serini era veloce ed imprevedibile nel dribbling e nella giocata a volte d’istinto; Micelli, invece, era altrettanto veloce, ambidestro, buon colpitore di testa ma soprattutto in linea col calcio che si andava delineando all’epoca, che privilegiava la fisicità. Una bella coppia davvero, insomma, se è vero che, pur senza vincere nulla, fa parte della storia del calcio della montagna.
GLI AVVERSARI. Massimo rispetto Stefano lo riserva agli avversari. Non ha parlato mai male di nessun difensore, nemmeno di quelli che lo hanno riempito solo di botte. Però tre nomi gli sono rimasti impressi. Uno è Diego Mattia: duro ma “educato”, come quella volta che lui gli andò via e il “Dede” anziché falciarlo lo cinturò, accompagnandolo, senza neanche farlo cadere. Il secondo è Fiorenzo Sacrsini, marcatore spietato ma di una correttezza esemplare. Giocare contro “Fiore” lo esaltava e in campo non si risparmiavano colpi e scatti, astuzie e contro scatti. Alla fine di una match, un anno, si ritrovarono sdraiati vicini sul prato umido, in preda ai crampi, dopo ave corso 90’ e stettero lì un po’ a parlare. L’ultimo è un nome un po’ a sorpresa: Vittorino Malagnini, difensore dell’Amaro. Secondo Stefano si tratta di uno dei giocatori più sottovalutati nella storia del Carnico. “Di lui – dice Stefano – ne parlano in pochi, ma aveva tutto il corredo del marcatore implacabile. In un Verzgegnis – Amaro, terminata 0 – 4, toccai esattamente 5 volte il pallone: al fischio di inizio e alla ripresa del gioco dopo le 4 reti dell’Amaro … “.